Per le foto ancora un po' di pazienza, so che ridimensionare è un'operazione semplice ma prende un po' di tempo
I fatti: venerdì scorso parto da Pavia verso le 16.30 diretto verso Varzi, con l'intenzione di prendere la via del sale che si snoda tra pavese, tortonese e piacentino per raggiungere la provincia di Genova.
Seguo un WP fornito da Chicco e provo la via di accesso a Cella di Varzi, per me nuova perché sono sempre entrato un pochetto più in là: uno sterrato ripido ma gestibile mi accompagna fuori dal paese e mi porta a entrare nel bosco. Tutto bene fino a quando, poco prima di congiungersi con la via che conosco devo passare tra ramaglie parecchio basse: tutta roba flessibile e giovane per fortuna, per cui arrivo al bivio, scendo dalla macchina per un'occhiata e e vedo non ci sono danni.
Riparto in direzione del Pian della Mora, dove mi fermo per dar da bere a Fermin e Susie e lasciarli correre liberi nell'immensa radura. Sono quasi le sette quando i levrieri rientrano alla base e sto accarezzando l'idea di aprire la tenda lì dove sono e starmene tranquillo a guardare il tramonto... ma le parole di Andrearally riguardo la bellezza di un luogo lungo il percorso e la coscienza di essere troppo all'inizio del mio tragitto, insieme a un po' di voglia di rischiare, mi porta a rimettermi al volante.
Seguo la via fino al Colle della Seppa, dove uno spiazzo si divide in più strade: da lì potrei scendere verso l'asfalto e proseguire verso sud, come mi è stato consigliato da Chicco, oppure provare a vedere se la strada per il Monte Chiappo è praticabile: seconda ridotta e via verso il monte.
L'ora successiva mi ha ricordato tanto la prima uscita, quella della rumata ligure, con i lunghi passaggi in cresta dell'alta via: bella, bella, bella da star male, con le valli che si dipanano da una parte e dall'altra sotto di te. Un paio di passaggi mi impensieriscono (doppie esse strette tra alberi in un paio di avvallamenti), ma in realtà tutto procede con tranquillità e all'imbrunire arrivo ai piedi del monte. Mi chiudo alle spalle l'ennesimo cancello per bestiame e vedo il rifugio sulla cima piatta e ampia del monte: una luce accesa. Sarei tentato di fare un salto su, ma non sono del tutto sicuro che io possa essere lì, almeno non in macchina... Quindi passo a ovest del monte e scendo lungo la pista blu (è una stazione sciistica) zigzagando tra le protezioni della pista di downhill che montano d'estate per non fare danni. Il sole è appena calato e io metto le ruote sull'asfalto.
Sono le otto passate e mi devo muovere: per strade secondarie e tornanti devo arrivare nel comune di Fascia (GE), dove si trova il prossimo WP, fornito da Andrea, che mi permetterà di arrivare al Pian della Cavalla. Passo in mezzo a posti incredibili, dal nulla sbuca gente che passeggia vestita della festa, prima e dopo km di niente.
In un tornante vedo un capriolo che riposa sotto un albero, fermo la macchina e lui mi guarda con aria interrogativa "Problemi?" "No no niente, salve" "Salve" e proseguo fino a Fascia: un bivio e due tornanti e ci siamo.
L'attacco dello sterrato è proprio dentro l'ultimo tornante: sapevo che mi avrebbe aspettato una salita ripida, ma non immaginavo così tanto e così lunga. Il buio ha falsato la sensazione, insieme alla stanchezza, ma a spanne saranno stati 300 metri al 15% di lastricato dritto dritto. Giù il piede e via... ma a un certo punto mi viene persino da ridere: non finisce più cazzo!
Finalmente la salita si rilassa e mi muovo in un piccolo bosco, giro verso destra e si apre una piccola radura. Buio pesto, nel prato le tracce non si vedono più, sono le nove e un quarto e chiamo Andrea per un paio di conferme, prima di arrischiarmi al buio. Ci salutiamo e ci rimandiamo a domani, mi sposto costeggiando il bosco sulla sinistra della radura e arrivo in uno spiazzo ondulato, fermo la macchina, libero i cani e me ne sto imbambolato a guardarmi attorno, con il pianoro illuminato dalla luna e dalle stelle.
Non riesco a fare nulla fino a che non tornano Fermin e Susie, quindi li lego e do loro da mangiare, mentre sgranocchiano crocche avidamente apro la tenda, mi prendo una birra e del salame: appoggiato alla macchina mangio e sorseggio guardandomi attorno.
Anche quando metto a nanna i cani e sistemo tutto, mi ritrovo seduto alla porta della tenda, sul tetto di Airone, a guardarmi attorno e mi ci vuole un po' a decidermi a chiudere tutto e dormire: è bello, tanto.
Sabato mattina, ore sette, occhi aperti. Mi tiro su e apro la tenda, sorrido a quello che mi trovo di fronte e che ieri notte avevo in parte intuito. Scendo con calma, libero i levrieri e schizzano verso due persone che passeggiano lentamente nel piano, probabilmente alla ricerca di funghi. Mi preparo la colazione con tutta calma mentre un signore distinto in abiti poveri, preceduto da una segugina anzianotta ma dall'aria vispa e socievole, si avvicina per fare due chiacchiere: cerca tracce di lupi, che in zona abbondano, e mi chiede se ho visto qualcosa, se ho dormito lì, se non era un po' troppo il vento. Parliamo con calma e ci salutiamo con un sorriso. Lo vedo camminare e fermarsi qua e là per il pianoro mentre finisco la colazione e inizio a risisitemare Airone per partire.
Faccio tutto con lentezza, da quello che so devo solo dirigermi verso Fontanarossa, poco più a nord della mia posizione, per riguadagnare l'asfalto e da lì, tagliando tre valli tra tornanti e strette, raggiungere la casa di Andrea e Angela in circa un'ora.
Alle dieci e mezza Fermin e Susie risalgono in macchina, controllo di aver fissato bene tutto il carico e di non aver lasciato nulla in giro e parto. Gironzolo un po' nel pianoro, facendo attenzione a non uscire da segni preesistenti per non segnare troppo il pratone, per vedere luoghi di cui mi si è parlato, arrivo a uno strapiombo e mi guardo attorno, ritorno sulla via principale e proseguo.
Trovo un'altra radura più in basso, protetta dal vento, e appunto un "dormire" per il futuro, non si sa mai, per poi tuffarmi nel bosco. Alcuni rami sono bassi, ma è tutto abbastanza flessibile: di quando in quando controllo tenda, tendalino e portapacchi, ma tutto tiene. La strada è buona, le pendenza mai troppo estreme, sono rilassato e mi godo tutto quello che arriva.
A un certo punto, dopo una discesa un po' più impegnativa, da fare con calma, arrivo in uno spiazzo con una fontana e tre strade di fronte a me: controllo la mappa topografica e vedo che quella a destra è segnata come principale, per di più su un nocciolo una bella freccia fa mostra di sé e indica proprio quella via. Imbocco la discesa sereno.
La faccenda comincia a complicarsi un po' perché il fondo diventa più brutto e difficile, ma non demordo: vedo che sono sempre più vicino alla meta e la via che sto percorrendo è quella principale... mi impensieriscono un po' le curve strette tra gli alberi caduti e una discesa di pietre e sfasciume che ricorda tanto quella dove ho rotto l'albero posteriore, ma questa volta Airone è ben rinforzata, monta gomme da uomo e gli alberi sono stati ingrassati prima di partire.
Esco dal tratto un po' provato, ma va tutto bene. Mi trovo su un lastricato e guardando la cartina piego a sinistra, per arrivare al paese: manca pochissimo.
Scendo e vedo che la strada stringe, ma ingenuità e fiducia nella mappa mi portano a passare senza fare prima una perlustrazione a piedi. Male, molto male, perché mi ritrovo dopo una curva stretta, in discesa, dopo aver fatto un centinaio di metri tra muretti a secco troppo vicini, di fronte a una strettoia di non più di un metro di larghezza, tra un muro che ferma il bosco e il muro di una delle case del piccolo paese.
Da qui non si passa, anche se in cinquanta metri sarei al bar davanti alla chiesa, ma ci vorranno sei ore per scoprirlo.
Chiamo Andrea mentre cerco di fare il punto della situazione, mi tranquillizzo un poco e mi metto a spostare i sassi che ho smosso al mio passaggio, per liberare la via: mi aspettano circa centocinquanta metri di retromarcia in salita stretto tra due muretti a secco prima di arrivare in un luogo adatto a fare manovra. Parliamo un po' e mi dice che se serve vede di venire lì a darmi una mano, io lo ringrazio e gli dico di tenersi pronto, con una risata un po' nervosa.
Bene, salgo in macchina, guardo i cani nello specchietto retrovisore e comincio l'operazione di messa in sicurezza.