Quaderni Anarchici

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MessaggioInviato: 11/11/2016, 12:34
Ma perchè dover vagliare tutte le possibili variabili?

Percepisco, in generale, questa falsa necessità di dover prevedere per forza tutto, così da sbagliare il meno possibile.
E non riesco a comprenderla.
IO, per esempio, tento di analizzare ciò che mi interessa per attitudine (la dove attitudine sono io con le mie -e solo mie- necessità) salvo poi decidere con una buona parte di "presentimento".
Anche perchè NON sbagliare è molto peggio che sbagliare.

Non evolveremmo.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 12:41
Struwwelpeter ha scritto:
Jerry ha scritto:Cioè il decision making sarà sempre più delegato a un prodotto tecnologico dell'uomo, più che alla sua personale coscienza di essere vivente su un pianeta condiviso con altri esseri viventi. Ma le nostre scelte sono legate a fattori complessi e immateriali quali concetti come "etica", "giustizia", "compassione"... difficile pensare di infondere questi in un sistema binario.

E questa non so se sia una prospettiva positiva o inquietante, a dire la verità.

S.


Esattamente ciò che intendo.
Ci paventano futuri apocalittici per indirizzare le nostre scelte economiche, quando molto più terra-terra, il nostro futuro sarà normalmente complesso di tante altre necessità.
Per me, fondamentale, è non perdere la visione d'insieme delle cose.

A prescindere dalla Realtà Virtuale, ci saranno sempre mani biologiche a farci delle seghe reali, i neonati ci sveglieranno nel cuore della notte e il vicino di casa non lo sopporteremo come sempre.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 12:45
Per quanto riguarda l'anarchia, non ho abbastanza conoscienza per esprimere un giudizio.
Non ho idea di cosa pensarne.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 12:49
Ma è una gigante supercazzola o io sono così ignorante che non capisco di cosa parlate?
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 13:48
CERO ha scritto:Ma è una gigante supercazzola o io sono così ignorante che non capisco di cosa parlate?


Siamo partiti per la tangente ma il punto resta trovare un modo per canalizzare le nostre energie e fottere l'estabishment, il sistema, la matrice, il grande inganno della democrazia, chiamatelo come volete. Il punto di partenza è e resterà sempre la lotta, con ogni mezzo, in ogni cosa.

Anche intellettualmente, evitare i canali mainstream, informarsi su internet, scegliere le fonti, evitare come la peste le chimere dei social network, ragionare sulla storia che i canali di disinformazione vorrebbero propinarci quotidianamente... tutto questo è "lotta".

S.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:06
Ah ok, con scappellamento a destra
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:10
Diciamo che almeno per quanto riguarda l'isolamento mediatico ci sono, visto che da due anni sono senza televisore e i social non ho nemmeno capito a cosa servono...
Da diversi anni ho maturato la consapevolezza che il sistema mi vuole omologare, usare e poi rottamare, non prima di avermi spremuto creandomi delle esigenze che non avevo e che per soddisfare le quali devo per forza passare attraverso il sistema. Un po' come regalare le caramelle con la droga ai bambini per creare la dipendenza. Solo che gli spacciatori sono banche, multinazionali dell'alimentazione, colossi dell'elettronica ecc..
Quello che non ho ancora capito è dove sta la via di uscita, il bandolo della matassa, se davvero il genere umano sia in grado di trovare la redenzione dagli inferni che abbiamo lasciato creare ai burattinai. Non voglio essere Don Chisciotte e nemmeno Gesù Cristo, non ne ho la forza e nemmeno la voglia. Quindi forse mi merito quello che ho, e soprattutto quello che non ho. Sono una specie di ingranaggio che però è consapevole di esserlo.


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Quando parti, non portare con te un idiota. Ne troverai sicuramente uno sul posto.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:23
Non so neanche se abbiamo sufficienti risorse per far avvenire ciò che paventi! Di litio, per esempio, non ce n'è così tanto e noi continuiamo a farci batterie....
Per certi versi
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:26
Credo nel concetto dell'autoestinzione del genere umano come unica soluzione di salvaguardia del nostro pianeta e dei suoi altri abitanti.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:33
Guybrush Treepwood ha scritto:Diciamo che almeno per quanto riguarda l'isolamento mediatico ci sono, visto che da due anni sono senza televisore e i social non ho nemmeno capito a cosa servono...
Da diversi anni ho maturato la consapevolezza che il sistema mi vuole omologare, usare e poi rottamare, non prima di avermi spremuto creandomi delle esigenze che non avevo e che per soddisfare le quali devo per forza passare attraverso il sistema. Un po' come regalare le caramelle con la droga ai bambini per creare la dipendenza. Solo che gli spacciatori sono banche, multinazionali dell'alimentazione, colossi dell'elettronica ecc..
Quello che non ho ancora capito è dove sta la via di uscita, il bandolo della matassa, se davvero il genere umano sia in grado di trovare la redenzione dagli inferni che abbiamo lasciato creare ai burattinai. Non voglio essere Don Chisciotte e nemmeno Gesù Cristo, non ne ho la forza e nemmeno la voglia. Quindi forse mi merito quello che ho, e soprattutto quello che non ho. Sono una specie di ingranaggio che però è consapevole di esserlo.


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Tratto da "Willful Disobedience" di Wolfi Landstreicher.

A Violent Proposition Against the Weighted Chain of Morality

When dealing with the question of how to battle the social order, there is no place for morality. Anyone who desires a world without exploitation and domination does not share the values of the society that spawned them. Thus, it is necessary to avoid getting drawn into its viewpoint — the dominant viewpoint with all that implies. The dominant viewpoint in the present era is that of democratic dialogue. All are to come together to discuss their perspectives, argue over their claims, debate their opinions and negotiate compromises guaranteed to enforce the power of those who claim to represent us and to disappoint all parties (except those in power) equally. Isn’t our democratic equality a beautiful thing? Within this viewpoint, revolutionary action ceases to be activity chosen by individuals in terms of their inclinations, capabilities, situation and desires. Instead it must be reified into a dichotomous choice given moral connotations between violence and nonviolence. For anarchists, who — in theory, at least — determine their own actions on their own terms, this should be a false and meaningless dichotomy.
The central aim of anarchist activity in the present world is the destruction of the state, of capital and of every other institution of power and authority in order to create the possibility of freedom for every individual to fully realize herself as he sees fit. This is not a moral principle, but simply — by definition — putting anarchy into practice. And it is a violent proposition. No apologies should be made about this. I am talking about the destruction of the entire social order — of civilization, if you will — and such an upheaval is, without question, far more violent than any hurricane or earthquake. But the significant question is how each individual will act, and that, for anarchists, is determined by each individual in terms of their desires, dreams, capabilities and circumstances — in terms of the life they are trying to create for themselves. In this light, it only makes sense that anarchists would reject morality, humanism and any other external value in deciding how to act. Even efficacy would be rejected as an essential determinant, though, of course, one would try to succeed and would put all of oneself into any self-chosen activity in order to make it as strong as possible. But effectiveness is not the primary question — the desire to attack the institutions of domination and exploitation where one can is.
In this light it becomes clear that we who call ourselves anarchists have no use for dealing with such questions as: “Is property destruction violence or not?”; “Is this an act of legitimate self-defense?” and so on. We have no reason to try to make such artificial distinctions, since our actions are determined precisely by our desire to attack and destroy power. These distinctions between “violence” and “nonviolence” or between “legitimate self-defense” and the violence of attack are based in the hypocritical morality of power that serves no other purpose than to place weighted chains on our ability to act.
Since the demonstrations against the WTO in Seattle, representatives of the mass media have been looking for anarchists to question about violence and property destruction. We will never be able to win over the media or to be presented “fairly” through them. So speaking to them on their terms, using their moral rules as guidelines in determining how we speak about these matters and following their protocol when we speak to them is absurd. The best way to speak to the media on this question is shown by the action of three Italian anarchists — Arturo, Luca and Drew — who beat up a journalist who dared to invade their comrade’s funeral.

S.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:37
Per i non anglofoni: http://machorka.espivblogs.net/2014/03/ ... streicher/

"La realizzazione dei nostri sogni, dei sogni di ogni individuo ancora capace di desiderare in modo autonomo d’essere creatore della propria esistenza, richiede una rottura consapevole e rigorosa con la sinistra. Come minimo questa rottura significa:
1. Il rifiuto di una percezione politica della lotta sociale; il riconoscimento che la lotta rivoluzionaria non è un programma, ma piuttosto una lotta per la riappropriazione individuale e sociale della totalità della vita. In quanto tale, essa è essenzialmente anti-politica. In altre parole, si contrappone a qualsiasi forma di organizzazione sociale — e a qualsiasi metodo — in cui le decisioni sul vivere e lottare sono separate dalla loro esecuzione, al di là di quanto democratico e partecipativo possa essere tale processo decisionale separato.
2. Il rifiuto dell’organizzazionismo, intendendo con questo il rifiuto dell’idea secondo cui una qualche organizzazione possa rappresentare individui o gruppi di sfruttati, la lotta sociale, la rivoluzione o l’anarchia. Quindi anche il rifiuto di tutte quelle organizzazioni — partiti, sindacati, federazioni e simili — che, data la loro essenza programmatica, assumono un ruolo rappresentativo. Ciò non significa il rifiuto della capacità di organizzare le attività specifiche necessarie alla lotta rivoluzionaria, ma piuttosto il rifiuto di sottomettere l’organizzazione dei propri compiti e dei progetti al formalismo di un programma organizzativo. Il solo compito che ha sempre mostrato di esigere un’organizzazione formale è lo sviluppo ed il mantenimento di se stessa.
3. Il rigetto della democrazia e dell’illusione quantitativa. Il rifiuto della prospettiva secondo cui il numero di aderenti ad una causa, ad un’idea o ad un programma, sia ciò che determina la forza di una lotta, a scapito del valore qualitativo della lotta in quanto attacco contro le istituzioni del dominio e in quanto riappropriazione della vita. Il rifiuto di ogni istituzionalizzazione o formalizzazione del processo decisionale, oltre che di qualsiasi concezione del processo decisionale come momento separato dalla vita e dalla pratica. Il rifiuto, inoltre, del metodo «evangelico» che serve per conquistare le masse: un metodo che presuppone che l’esplorazione teorica sia al limite, che vi sia una risposta a cui tutti devono aderire e che quindi ogni mezzo è valido per diffondere il messaggio anche se dovesse contraddire ciò che si sostiene. Ciò spinge a ricercare seguaci che accettino la propria posizione piuttosto che compagni e complici con cui portare avanti le proprie esplorazioni. Ad attrarre i potenziali complici con cui sviluppare rapporti di affinità ed espandere la pratica della rivolta, è una lotta per la realizzazione dei propri progetti in modo coerente con le proprie idee, con i propri sogni e desideri.
4. Il rifiuto di fare richieste a chi è al potere, scegliendo piuttosto una pratica di azione diretta e di attacco. Il rifiuto dell’idea che ci si possa autodeterminare tramite richieste parziali che, nel migliore dei casi, apportano solo un temporaneo miglioramento alla nocività dell’ordine sociale. Il riconoscimento della necessità di attaccare questa società nella sua totalità, di raggiungere in ogni lotta parziale una consapevolezza pratica e teorica della totalità che deve essere distrutta. Quindi, anche la capacità di vedere cosa sia potenzialmente rivoluzionario — cosa si muove oltre la logica delle richieste e dei cambiamenti frammentari — nelle lotte sociali parziali, poiché dopo tutto una rottura radicale e insurrezionale si può scatenare nel corso di una lotta iniziata per ottenere risultati parziali, ma partendo da quella richiesta per andare oltre e pretendere di più.
5. Il rifiuto dell’idea di progresso, dell’idea che l’ordine attuale delle cose sia il risultato di un continuo processo di miglioramento che possiamo perseguire, forse fino all’apoteosi se ci impegniamo. Il riconoscimento che l’attuale traiettoria — che i potenti e la loro opposizione leale riformista e “rivoluzionaria” chiamano «progresso» — è implicitamente nociva per la libertà individuale, per la libera associazione, per avere relazioni umane soddisfacenti, per la totalità della vita e per lo stesso pianeta. Il riconoscimento che questa strada deve essere interrotta e che bisogna sviluppare nuovi modi di vivere e di rapportarsi, se vogliamo raggiungere l’autonomia e la libertà complete. (Questo non porta necessariamente ad un rigetto assoluto della tecnologia e della civiltà, che non costituisce certo il culmine della rottura con la sinistra; benché il rifiuto del progresso implichi la volontà di esaminare e mettere in discussione seriamente la civiltà, la tecnologia e soprattutto l’industrialismo. Coloro che non sono disposti a sollevare tali questioni, probabilmente continuano a restare fedeli al mito del progresso).
6. Il rifiuto della politica identitaria. Il riconoscimento che, mentre i vari gruppi oppressi sperimentano la propria spoliazione relativa all’oppressione che vivono e l’analisi di tali specificità è necessaria per avere una piena comprensione di come funziona il dominio, comunque la spoliazione è la sottrazione della capacità in ciascuno di noi, in quanto individui, di autodeterminare la nostra esistenza e di associarci liberamente con gli altri. La riappropriazione della vita a livello sociale, come pure la sua piena riappropriazione a livello individuale, potrà avvenire solo allorché cesseremo di aggrapparci ad un’identità sociale.
7. Il rifiuto del collettivismo, della subordinazione dell’individuo al gruppo. Il rifiuto dell’ideologia della responsabilità collettiva (il che non determina il rifiuto di un’analisi sociale o di classe, ma piuttosto la rimozione del giudizio morale che ne deriva ed il rifiuto della pericolosa pratica di biasimare gli individui per le attività compiute nel nome di una categoria sociale, o che a questa sono state attribuite, di cui agli individui è stato detto di fare parte senza che lo abbiano scelto — «ebreo», «zingaro», «uomo», «bianco», ecc.). Il rifiuto dell’idea che chiunque, per «privilegio» o per una supposta appartenenza ad un particolare gruppo di oppressi, debba una solidarietà acritica a qualsiasi lotta o movimento, ed il riconoscimento che una simile concezione costituisce un forte ostacolo in qualsiasi processo rivoluzionario. La creazione di progetti e di attività collettive che servono i bisogni e i desideri degli individui coinvolti, e non viceversa. Il riconoscimento che l’alienazione di fondo imposta dal capitale non è basata su alcuna ideologia iper-individualista, ma semmai proviene dal programma collettivo di produzione imposto, che espropria le nostre capacità creative individuali al fine di realizzare i suoi scopi. Il riconoscimento che la liberazione di ogni singolo individuo, in grado di poter determinare le condizioni della propria esistenza in libera associazione con altri di sua scelta, sia lo scopo primario della rivoluzione.
8. Il rifiuto dell’ideologia, vale a dire il rifiuto di ogni programma, astrazione, ideale o teoria, posto sopra la vita e gli individui come una costruzione da servire e riverire. Quindi il rifiuto di Dio, dello Stato, della Nazione, della Razza, ecc., ma anche dell’Anarchismo, del Primitivismo, del Comunismo, della Libertà, della Ragione, dell’Individuo, ecc. quando questi si trasformino in ideali cui sacrificare se stessi, i propri desideri, le aspirazioni, i sogni. L’uso delle idee, dell’analisi teorica e della capacità di ragionare e pensare astrattamente e criticamente come strumento per la realizzazione dei propri obiettivi, per riappropriarsi della vita ed agire contro tutto ciò che ostacola tale percorso. Il rifiuto delle facili risposte che interdicono ogni tentativo di esaminare la realtà che si affronta, attraverso un’interrogazione ed un’esplorazione teorica continua.
"

S.
Ultima modifica di Struwwelpeter il 11/11/2016, 14:48, modificato 2 volte in totale.
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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:43
bradixferox ha scritto:Credo nel concetto dell'autoestinzione del genere umano come unica soluzione di salvaguardia del nostro pianeta e dei suoi altri abitanti.

Pienamente daccordo. Colui che prima di te portava quell'avatar mi spiegò questo concetto, e non vedo alternativa valida. Però avendo per primo trasgredito alla regola, mi piacerebbe vedere un modo migliore di spendere la mia vita che non sia trasmettere coppia in un grande macchinario fino a che i miei denti non saranno troppo usurati. E l'idea che l'unica cosa buona che ho fatto nella mia esistenza (o l'unica cosa veramente sbagliata se leggiamo sopra), per quanto grande, sia di aver messo al mondo i miei figli, mi deprime parecchio, perché a loro potrò lasciare solo quella, mentre avrei voluto dare innanzitutto l'esempio di una vita libera.


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I've already found the way out.

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MessaggioInviato: 11/11/2016, 14:59
Struwwelpeter ha scritto:Per i non anglofoni: http://machorka.espivblogs.net/2014/03/ ... streicher/

"La realizzazione dei nostri sogni, dei sogni di ogni individuo ancora capace di desiderare in modo autonomo d’essere creatore della propria esistenza, richiede una rottura consapevole e rigorosa con la sinistra. Come minimo questa rottura significa:
1. Il rifiuto di una percezione politica della lotta sociale; il riconoscimento che la lotta rivoluzionaria non è un programma, ma piuttosto una lotta per la riappropriazione individuale e sociale della totalità della vita. In quanto tale, essa è essenzialmente anti-politica. In altre parole, si contrappone a qualsiasi forma di organizzazione sociale — e a qualsiasi metodo — in cui le decisioni sul vivere e lottare sono separate dalla loro esecuzione, al di là di quanto democratico e partecipativo possa essere tale processo decisionale separato.
2. Il rifiuto dell’organizzazionismo, intendendo con questo il rifiuto dell’idea secondo cui una qualche organizzazione possa rappresentare individui o gruppi di sfruttati, la lotta sociale, la rivoluzione o l’anarchia. Quindi anche il rifiuto di tutte quelle organizzazioni — partiti, sindacati, federazioni e simili — che, data la loro essenza programmatica, assumono un ruolo rappresentativo. Ciò non significa il rifiuto della capacità di organizzare le attività specifiche necessarie alla lotta rivoluzionaria, ma piuttosto il rifiuto di sottomettere l’organizzazione dei propri compiti e dei progetti al formalismo di un programma organizzativo. Il solo compito che ha sempre mostrato di esigere un’organizzazione formale è lo sviluppo ed il mantenimento di se stessa.
3. Il rigetto della democrazia e dell’illusione quantitativa. Il rifiuto della prospettiva secondo cui il numero di aderenti ad una causa, ad un’idea o ad un programma, sia ciò che determina la forza di una lotta, a scapito del valore qualitativo della lotta in quanto attacco contro le istituzioni del dominio e in quanto riappropriazione della vita. Il rifiuto di ogni istituzionalizzazione o formalizzazione del processo decisionale, oltre che di qualsiasi concezione del processo decisionale come momento separato dalla vita e dalla pratica. Il rifiuto, inoltre, del metodo «evangelico» che serve per conquistare le masse: un metodo che presuppone che l’esplorazione teorica sia al limite, che vi sia una risposta a cui tutti devono aderire e che quindi ogni mezzo è valido per diffondere il messaggio anche se dovesse contraddire ciò che si sostiene. Ciò spinge a ricercare seguaci che accettino la propria posizione piuttosto che compagni e complici con cui portare avanti le proprie esplorazioni. Ad attrarre i potenziali complici con cui sviluppare rapporti di affinità ed espandere la pratica della rivolta, è una lotta per la realizzazione dei propri progetti in modo coerente con le proprie idee, con i propri sogni e desideri.
4. Il rifiuto di fare richieste a chi è al potere, scegliendo piuttosto una pratica di azione diretta e di attacco. Il rifiuto dell’idea che ci si possa autodeterminare tramite richieste parziali che, nel migliore dei casi, apportano solo un temporaneo miglioramento alla nocività dell’ordine sociale. Il riconoscimento della necessità di attaccare questa società nella sua totalità, di raggiungere in ogni lotta parziale una consapevolezza pratica e teorica della totalità che deve essere distrutta. Quindi, anche la capacità di vedere cosa sia potenzialmente rivoluzionario — cosa si muove oltre la logica delle richieste e dei cambiamenti frammentari — nelle lotte sociali parziali, poiché dopo tutto una rottura radicale e insurrezionale si può scatenare nel corso di una lotta iniziata per ottenere risultati parziali, ma partendo da quella richiesta per andare oltre e pretendere di più.
5. Il rifiuto dell’idea di progresso, dell’idea che l’ordine attuale delle cose sia il risultato di un continuo processo di miglioramento che possiamo perseguire, forse fino all’apoteosi se ci impegniamo. Il riconoscimento che l’attuale traiettoria — che i potenti e la loro opposizione leale riformista e “rivoluzionaria” chiamano «progresso» — è implicitamente nociva per la libertà individuale, per la libera associazione, per avere relazioni umane soddisfacenti, per la totalità della vita e per lo stesso pianeta. Il riconoscimento che questa strada deve essere interrotta e che bisogna sviluppare nuovi modi di vivere e di rapportarsi, se vogliamo raggiungere l’autonomia e la libertà complete. (Questo non porta necessariamente ad un rigetto assoluto della tecnologia e della civiltà, che non costituisce certo il culmine della rottura con la sinistra; benché il rifiuto del progresso implichi la volontà di esaminare e mettere in discussione seriamente la civiltà, la tecnologia e soprattutto l’industrialismo. Coloro che non sono disposti a sollevare tali questioni, probabilmente continuano a restare fedeli al mito del progresso).
6. Il rifiuto della politica identitaria. Il riconoscimento che, mentre i vari gruppi oppressi sperimentano la propria spoliazione relativa all’oppressione che vivono e l’analisi di tali specificità è necessaria per avere una piena comprensione di come funziona il dominio, comunque la spoliazione è la sottrazione della capacità in ciascuno di noi, in quanto individui, di autodeterminare la nostra esistenza e di associarci liberamente con gli altri. La riappropriazione della vita a livello sociale, come pure la sua piena riappropriazione a livello individuale, potrà avvenire solo allorché cesseremo di aggrapparci ad un’identità sociale.
7. Il rifiuto del collettivismo, della subordinazione dell’individuo al gruppo. Il rifiuto dell’ideologia della responsabilità collettiva (il che non determina il rifiuto di un’analisi sociale o di classe, ma piuttosto la rimozione del giudizio morale che ne deriva ed il rifiuto della pericolosa pratica di biasimare gli individui per le attività compiute nel nome di una categoria sociale, o che a questa sono state attribuite, di cui agli individui è stato detto di fare parte senza che lo abbiano scelto — «ebreo», «zingaro», «uomo», «bianco», ecc.). Il rifiuto dell’idea che chiunque, per «privilegio» o per una supposta appartenenza ad un particolare gruppo di oppressi, debba una solidarietà acritica a qualsiasi lotta o movimento, ed il riconoscimento che una simile concezione costituisce un forte ostacolo in qualsiasi processo rivoluzionario. La creazione di progetti e di attività collettive che servono i bisogni e i desideri degli individui coinvolti, e non viceversa. Il riconoscimento che l’alienazione di fondo imposta dal capitale non è basata su alcuna ideologia iper-individualista, ma semmai proviene dal programma collettivo di produzione imposto, che espropria le nostre capacità creative individuali al fine di realizzare i suoi scopi. Il riconoscimento che la liberazione di ogni singolo individuo, in grado di poter determinare le condizioni della propria esistenza in libera associazione con altri di sua scelta, sia lo scopo primario della rivoluzione.
8. Il rifiuto dell’ideologia, vale a dire il rifiuto di ogni programma, astrazione, ideale o teoria, posto sopra la vita e gli individui come una costruzione da servire e riverire. Quindi il rifiuto di Dio, dello Stato, della Nazione, della Razza, ecc., ma anche dell’Anarchismo, del Primitivismo, del Comunismo, della Libertà, della Ragione, dell’Individuo, ecc. quando questi si trasformino in ideali cui sacrificare se stessi, i propri desideri, le aspirazioni, i sogni. L’uso delle idee, dell’analisi teorica e della capacità di ragionare e pensare astrattamente e criticamente come strumento per la realizzazione dei propri obiettivi, per riappropriarsi della vita ed agire contro tutto ciò che ostacola tale percorso. Il rifiuto delle facili risposte che interdicono ogni tentativo di esaminare la realtà che si affronta, attraverso un’interrogazione ed un’esplorazione teorica continua.
"

S.


Anche se alcuni punti li devo capire meglio, probabilmente ho appena scoperto di essere un anarchico inconsapevole


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Struwwelpeter ha scritto:Per i non anglofoni: http://machorka.espivblogs.net/2014/03/ ... streicher/

"La realizzazione dei nostri sogni, dei sogni di ogni individuo ancora capace di desiderare in modo autonomo d’essere creatore della propria esistenza, richiede una rottura consapevole e rigorosa con la sinistra. Come minimo questa rottura significa:
1. Il rifiuto di una percezione politica della lotta sociale; il riconoscimento che la lotta rivoluzionaria non è un programma, ma piuttosto una lotta per la riappropriazione individuale e sociale della totalità della vita. In quanto tale, essa è essenzialmente anti-politica. In altre parole, si contrappone a qualsiasi forma di organizzazione sociale — e a qualsiasi metodo — in cui le decisioni sul vivere e lottare sono separate dalla loro esecuzione, al di là di quanto democratico e partecipativo possa essere tale processo decisionale separato.
2. Il rifiuto dell’organizzazionismo, intendendo con questo il rifiuto dell’idea secondo cui una qualche organizzazione possa rappresentare individui o gruppi di sfruttati, la lotta sociale, la rivoluzione o l’anarchia. Quindi anche il rifiuto di tutte quelle organizzazioni — partiti, sindacati, federazioni e simili — che, data la loro essenza programmatica, assumono un ruolo rappresentativo. Ciò non significa il rifiuto della capacità di organizzare le attività specifiche necessarie alla lotta rivoluzionaria, ma piuttosto il rifiuto di sottomettere l’organizzazione dei propri compiti e dei progetti al formalismo di un programma organizzativo. Il solo compito che ha sempre mostrato di esigere un’organizzazione formale è lo sviluppo ed il mantenimento di se stessa.
3. Il rigetto della democrazia e dell’illusione quantitativa. Il rifiuto della prospettiva secondo cui il numero di aderenti ad una causa, ad un’idea o ad un programma, sia ciò che determina la forza di una lotta, a scapito del valore qualitativo della lotta in quanto attacco contro le istituzioni del dominio e in quanto riappropriazione della vita. Il rifiuto di ogni istituzionalizzazione o formalizzazione del processo decisionale, oltre che di qualsiasi concezione del processo decisionale come momento separato dalla vita e dalla pratica. Il rifiuto, inoltre, del metodo «evangelico» che serve per conquistare le masse: un metodo che presuppone che l’esplorazione teorica sia al limite, che vi sia una risposta a cui tutti devono aderire e che quindi ogni mezzo è valido per diffondere il messaggio anche se dovesse contraddire ciò che si sostiene. Ciò spinge a ricercare seguaci che accettino la propria posizione piuttosto che compagni e complici con cui portare avanti le proprie esplorazioni. Ad attrarre i potenziali complici con cui sviluppare rapporti di affinità ed espandere la pratica della rivolta, è una lotta per la realizzazione dei propri progetti in modo coerente con le proprie idee, con i propri sogni e desideri.
4. Il rifiuto di fare richieste a chi è al potere, scegliendo piuttosto una pratica di azione diretta e di attacco. Il rifiuto dell’idea che ci si possa autodeterminare tramite richieste parziali che, nel migliore dei casi, apportano solo un temporaneo miglioramento alla nocività dell’ordine sociale. Il riconoscimento della necessità di attaccare questa società nella sua totalità, di raggiungere in ogni lotta parziale una consapevolezza pratica e teorica della totalità che deve essere distrutta. Quindi, anche la capacità di vedere cosa sia potenzialmente rivoluzionario — cosa si muove oltre la logica delle richieste e dei cambiamenti frammentari — nelle lotte sociali parziali, poiché dopo tutto una rottura radicale e insurrezionale si può scatenare nel corso di una lotta iniziata per ottenere risultati parziali, ma partendo da quella richiesta per andare oltre e pretendere di più.
5. Il rifiuto dell’idea di progresso, dell’idea che l’ordine attuale delle cose sia il risultato di un continuo processo di miglioramento che possiamo perseguire, forse fino all’apoteosi se ci impegniamo. Il riconoscimento che l’attuale traiettoria — che i potenti e la loro opposizione leale riformista e “rivoluzionaria” chiamano «progresso» — è implicitamente nociva per la libertà individuale, per la libera associazione, per avere relazioni umane soddisfacenti, per la totalità della vita e per lo stesso pianeta. Il riconoscimento che questa strada deve essere interrotta e che bisogna sviluppare nuovi modi di vivere e di rapportarsi, se vogliamo raggiungere l’autonomia e la libertà complete. (Questo non porta necessariamente ad un rigetto assoluto della tecnologia e della civiltà, che non costituisce certo il culmine della rottura con la sinistra; benché il rifiuto del progresso implichi la volontà di esaminare e mettere in discussione seriamente la civiltà, la tecnologia e soprattutto l’industrialismo. Coloro che non sono disposti a sollevare tali questioni, probabilmente continuano a restare fedeli al mito del progresso).
6. Il rifiuto della politica identitaria. Il riconoscimento che, mentre i vari gruppi oppressi sperimentano la propria spoliazione relativa all’oppressione che vivono e l’analisi di tali specificità è necessaria per avere una piena comprensione di come funziona il dominio, comunque la spoliazione è la sottrazione della capacità in ciascuno di noi, in quanto individui, di autodeterminare la nostra esistenza e di associarci liberamente con gli altri. La riappropriazione della vita a livello sociale, come pure la sua piena riappropriazione a livello individuale, potrà avvenire solo allorché cesseremo di aggrapparci ad un’identità sociale.
7. Il rifiuto del collettivismo, della subordinazione dell’individuo al gruppo. Il rifiuto dell’ideologia della responsabilità collettiva (il che non determina il rifiuto di un’analisi sociale o di classe, ma piuttosto la rimozione del giudizio morale che ne deriva ed il rifiuto della pericolosa pratica di biasimare gli individui per le attività compiute nel nome di una categoria sociale, o che a questa sono state attribuite, di cui agli individui è stato detto di fare parte senza che lo abbiano scelto — «ebreo», «zingaro», «uomo», «bianco», ecc.). Il rifiuto dell’idea che chiunque, per «privilegio» o per una supposta appartenenza ad un particolare gruppo di oppressi, debba una solidarietà acritica a qualsiasi lotta o movimento, ed il riconoscimento che una simile concezione costituisce un forte ostacolo in qualsiasi processo rivoluzionario. La creazione di progetti e di attività collettive che servono i bisogni e i desideri degli individui coinvolti, e non viceversa. Il riconoscimento che l’alienazione di fondo imposta dal capitale non è basata su alcuna ideologia iper-individualista, ma semmai proviene dal programma collettivo di produzione imposto, che espropria le nostre capacità creative individuali al fine di realizzare i suoi scopi. Il riconoscimento che la liberazione di ogni singolo individuo, in grado di poter determinare le condizioni della propria esistenza in libera associazione con altri di sua scelta, sia lo scopo primario della rivoluzione.
8. Il rifiuto dell’ideologia, vale a dire il rifiuto di ogni programma, astrazione, ideale o teoria, posto sopra la vita e gli individui come una costruzione da servire e riverire. Quindi il rifiuto di Dio, dello Stato, della Nazione, della Razza, ecc., ma anche dell’Anarchismo, del Primitivismo, del Comunismo, della Libertà, della Ragione, dell’Individuo, ecc. quando questi si trasformino in ideali cui sacrificare se stessi, i propri desideri, le aspirazioni, i sogni. L’uso delle idee, dell’analisi teorica e della capacità di ragionare e pensare astrattamente e criticamente come strumento per la realizzazione dei propri obiettivi, per riappropriarsi della vita ed agire contro tutto ciò che ostacola tale percorso. Il rifiuto delle facili risposte che interdicono ogni tentativo di esaminare la realtà che si affronta, attraverso un’interrogazione ed un’esplorazione teorica continua.
"

S.


Anche se alcuni punti li devo capire meglio, probabilmente ho appena scoperto di essere un anarchico inconsapevole


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La galassia anarchica è estremamente variegata, come lo è la vita delle persone interessanti del resto: https://en.wikipedia.org/wiki/Anarchist ... of_thought

La posizione fondamentale che fa da terreno comune a tutte nella lotta è riassumibile con il seguente manifesto (https://en.wikipedia.org/wiki/No_gods,_no_masters).

S.
Allegati
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Interessante punto di vista di un uomo di cultura.

"Facciamo frullare un po' la testa",

S.
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Dentro la nostra testa siamo veramente liberi.

Non importa cosa ci circonda.
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Jerry ha scritto:Dentro la nostra testa siamo veramente liberi.

Non importa cosa ci circonda.

Questo però non vale per tutti, a volte ho l'impressione che le teste libere siano solo in questo forum
Quando parti, non portare con te un idiota. Ne troverai sicuramente uno sul posto.
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Invece si, vale per tutti.
Il punto è che non tutti ne hanno la consapevolezza o forse il coraggio.

Quanti si sforzano di avere un'opinione comune perchè hanno paura di sbagliare a giudicare diversamente?

Nella nostra testa possiamo pensare qualunque cosa, crearci una nostra idea del mondo, qualunque essa sia financo surreale.
Bello "financo", sai quanto cazzo era che non lo sentivo? : Chessygrin :

Ma molti, non sono in grado di sostenere un giudizio, neppure il loro e quindi si omologano; peccato.


Il nostro forum, invece, per quanto possa sembrare melenso resta sempre un porto per pensatori liberi e la selezione naturale lo preserva dalla marea becera ed eterodiretta.
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Jerry ha scritto:Ma molti, non sono in grado di sostenere un giudizio, neppure il loro e quindi si omologano; peccato .


Questa può essere una spiegazione. Almeno per molti. Altri ho l'impressione che semplicemente vivano nel Truman Show e non se ne accorgano, e se cominciano a sospettare preferiscano comunque sorridere alle telecamere e continuare la commedia.
Quando parti, non portare con te un idiota. Ne troverai sicuramente uno sul posto.
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